CEVA Ospedale dei poveri infermi Santa Maria e Santa Caterina - Ospedali d'Italia

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CEVA Ospedale dei poveri infermi Santa Maria e Santa Caterina

Ospedali Nord Ovest > Regione Piemonte > Cuneo provincia > A-C

Il contenuto della scheda è tratto integralmente dal sito dell’Associazione “Ceva nella Storia” , che ringrazio per la disponibilità all’uso delle informazioni http://cevanellastoria.it/Schede.php?target=article&titolo=IE9zcGVkYWxl

Nel medioevo, l'assistenza e la cura degli ammalati della città, dei pellegrini e dei viandanti in qualche modo bisognosi erano affidate alle cosiddette confrerie a confraternite. A Ceva ne furono attive diverse: dello Spirito Santo, di Santa Maria, di Santa Caterina, dei cavalieri Gerosolimitani, chiamati anche di Rodi e in seguito di Malta. Queste miravano tutte alle medesime finalità di sostegno assistenziale, che potevano svolgere grazie a donazioni e rendite derivanti dal possesso di beni immobili o da prodotti di fondi agricoli di loro proprietà.
Di una struttura che rispondesse alle caratteristiche di ospedale si ha memoria che fosse già funzionante all'inizio del Trecento. Infatti, risale al 1307 un legato a favore dell'ospedale di venti scudi romani disposto dai fratelli Antonio e Giorgio Gandolfi. Si faceva cenno della sua esistenza anche negli statuti della città del 1357.
La sua ubicazione era all'interno della città fortificata,  ma ad oggi non è stata individuata la confraternita che ne curava la gestione (Umiliati di Santa Caterina, Disciplinanti o Battuti di Santa Maria). La congregazione laica dei Disciplinanti cominciò a diffondersi in queste zone solo agli inizi del Quattrocento e furono menzionati in un'aggiunta fatta agli statuti del 1419. Si può quindi affermare che, dalle prime decadi del XV secolo, fossero efficienti a Ceva due istituzioni i cui iscritti, oltre alle attività assistenziali e caritative nei loro molteplici aspetti, provvedevano alla cura dei malati degenti presso gli ospedali-lazzaretti annessi ai loro edifici oratoriali.
Stante che gli infermi che avevano la possibilità di assolvere alle spese si facevano accudire al proprio domicilio, la tipologia degli assistiti dei due ospedali era più che altro riferita alle persone indigenti o a forestieri di passaggio colpiti da morbi improvvisi. Si ha anzi ragione di credere che, siccome il numero dei confratelli Battuti era rapidamente diventato molto consistente, il loro ospedale fosse riservato esclusivamente al sostegno dei poveri e bisognosi aderenti alla congregazione medesima, mentre quello di Santa Caterina restava a disposizione di tutta la collettività.
Ragioni di spazio e precauzioni igieniche, conseguenti alle pestilenze che infestarono questi territori in quel periodo, costrinsero le due confraternite, prima quella di Santa Caterina e poi quella di Santa Maria, a trasferire i loro ospedali e edificare i due nuovi oratori poco fuori le mura di cinta della città.
II 6 luglio 1584 una rovinosa alluvione del Cevetta, oltre agli ingenti danni che causò all'intera città, distrusse l'ospedale di santa Caterina. Solo l'ospedale di Santa Maria fu preservato dal disastro. L'anno successivo il vescovo di Sarsina durante la sua visita apostolica, prese atto della volontà delle due associazioni di provvedere ai lavori per il celere ripristino dei due oratori. Lo stesso, però, invitò a sistemare convenientemente l'unico ospedale rimasto. Le confraternite provvidero in tempi brevi alla ricostruzione dei due edifici religiosi, senza stornare i fondi derivanti dalle loro rendite destinati alla beneficenza, all'accoglienza e all'assistenza degli ammalati, come loro prescritto dall'autorità vescovile. Di conseguenza l'ospedale di Santa Maria fu ampliato e riadattato, rendendolo più efficacemente rispondente ai fabbisogni sanitari della popolazione.
Nel 1678, il vescovo di Alba durante la sua visita pastorale non poté fare a meno di annotare che i due oratori non erano sufficienti a contenere il crescente numero di affiliati alle due congreghe e sollecitò le due confraternite a fondersi in una sola.  I confratelli delle due aggregazioni il 18 settembre di quell'anno firmarono l'atto di fusione e crearono l'Arciconfraternita di Santa Maria e Santa Caterina e cercarono un sito dove poter costruire i nuovi edifici da destinare ad ospedale ed oratorio. Quest'area doveva essere sufficientemente ampia ed all'interno della cinta muraria, per preservarsi dai danni alluvionali.
Verso la fine del 1882 l'ospedale fu compiuto, ma al momento di usufruirne per assicurare una nuova e dignitosa ricettività sanitaria per la comunità, venne deciso di cambiare la destinazione di utilizzo dell'immobile, affittandolo nella quasi totalità all'amministrazione pubblica, che vi collocò vari uffici ed archivi, la sala delle riunioni del consiglio comunale, i magazzini ecc. Non si sono mai rinvenuti documenti che chiarissero le motivazioni di questo mutamento. La struttura ospedaliera non fu pertanto trasferita e rimase là dove era stata ripristinata dopo l'alluvione del Cevetta del 1584.
Alla sua conduzione provvedeva un ospitaliere stipendiato, nominato ogni anno dalla consulta dell'Arciconfraternita, unitamente a due confratelli che servivano da suoi coadiutori. Per le prestazioni ai poveri ricoverati erano altresì annualmente incaricati un medico ed un chirurgo, che ricevevano una retribuzione a parte per le cure rese ai pazienti solventi.
Nell’ottobre del 1785 si attuò la separazione tra Ospedale e Oratorio, con la costituzione di due amministrazioni autonome. Il marchese Cosma Damiano Pallavicino venne nominato primo presidente dell'Ospedale, costituito sotto il titolo di Santa Maria e Santa Caterina. Nel 1806, a seguito delle disposizioni napoleoniche contro gli ordini religiosi, il convento di San Francesco venne soppresso e nei suoi spazi molto ampi trovarono collocazione le scuole governative. Nel 1841 si formalizzò la permuta di questo edificio con quello contiguo occupato dall'ospedale che da allora e fino al 1990 vi mantenne la sua sede.
Nel 1849 un decreto emanato dal re Vittorio Emanuele II ne approvò lo statuto organico, regolamentando altresì la composizione del consiglio di amministrazione, il cui presidente doveva essere di nomina regia. Il 1882 fu l'anno della venuta a Ceva delle Figlie della Carità di San Vincenzo de' Paoli. Le Suore Vincenziane prestarono la loro preziosa opera in ospedale, con un'interruzione dal 1875 al 1881, fino al 1995.
Nel biennio 1870-1871 furono compiute rilevanti opere di ampliamento e ristrutturazione, che cambiarono destinazione d'uso anche alla chiesa del convento francescano, la cui vasta superficie fu utilizzata per camere di degenza e servizi accessori.
Una legge del 1896 confermò l'erezione del nosocomio in Ente Autonomo e il Regio Decreto n. 1631 del 1938 lo riconobbe come ospedale di terza categoria, dotato di reparti per il ricovero di pazienti che necessitavano di cure mediche e chirurgiche di base, fornito di sala operatoria, sala per partorienti, ambulatori e servizi relativi ad altre specialità sanitarie.
Fino alla metà degli anni Sessanta in alcuni locali al piano terreno, al fondo dell'ala est erano ubicate le carceri, sotto forma di "casa mandamentale", mentre una parte dell'ala ovest era utilizzata come ricovero per anziani, dismesso negli anni Settanta.
A partire dal 1965 si diede inizio all'ammodernamento e l'ingrandimento delle strutture ospedaliere. In principio era stato previsto un notevole ampliamento, con l'innalzamento degli edifici esistenti e la costruzione di nuovi padiglioni. Intanto con la legge 132/1968 era stato riformato il sistema degli ospedali, che da enti di assistenza e beneficenza vennero trasformati in enti ospedalieri determinando nuove organizzazioni degli stessi. Per effetto di ciò, quello di Ceva venne classificato "Ospedale generale di zona".
In funzione dei nuovi parametri indicati dalla riforma e a causa dell'esigua consistenza delle aree accessorie, da parte dell'amministrazione venne accantonata l'idea dell'ampliamento, optando per una nuova costruzione in un sito periferico della città. Esaminate varie ipotesi venne scelta la zona di San Bernardino, all'inizio degli anni Settanta del XX secolo. L'iter burocratico, progettuale ed edificatorio fu lungo e travagliato. Si dovette anche modificare, per questioni legate ai finanziamenti, la denominazione dell'ente passando da 'Ospedale di Santa Maria e Santa Caterina" a "Ospedale dei Poveri Infermi", in quanto cosi stava scritto nel regolamento di Vittorio Emanuele II.
Nel 1975 i lavori iniziarono ma furono sospesi all’inizio degli anni 80.  Nel frattempo era intervenuta la nuova riforma sanitaria che aveva creato le Unità Sanitarie Locali Ceva e il suo territorio furono compresi nella n. 67.
La nuova amministrazione, nel 1984, deliberò la ripresa dei lavori. Si rese necessaria l'esecuzione di interventi di difesa idrogeologica perché le fondazioni della struttura intercettavano una falda acquifera.  Nell'autunno del 1990, si poté usufruire del nuovo complesso, che i successivi riordini del Servizio Sanitario Nazionale inquadrarono prima nell'ambito dell'ASL 16 di Mondovì-Ceva e ultimamente in quello dell'Azienda Sanitaria Locale CN1.
Da un po' di tempo si assiste purtroppo ad un progressivo ridimensionamento della funzionalità dell'ospedale a causa dei tagli sulla Sanità imposti dalla Regione Piemonte. La vecchia struttura di borgo Borgognone, dopo corposi interventi di ristrutturazione e ammodernamento, eseguiti negli ultimi anni del secolo scorso, venne destinata a sede dei servizi psichiatrici e distrettuali dell'ASL e ospita anche i servizi socio-assistenziali territoriali.

OPAC SBN: Regolamento per l'ospedale dei poveri infermi ed annesso Monte di pietà della città di Ceva, approvato da S.M. in data 4 dicembre 1849





 
Dal passato al futuro... un viaggio nel tempo dei templi della salute
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